Frustrazione e rabbia tra gli scaffali: "La custode di libri" di Sophie Divry
Nel 2010 la giovane scrittrice francese Sophie Divry (Montpellier, 1979) ha esordito con un libriccino esile ma pretenzioso intitolato La cote 400, in Italia La custode di libri.
Per circa sessanta pagine seguiamo il monologo di una bibliotecaria di provincia, ormai avanti negli anni. Relegata in un piano sotterraneo poco frequentato, confinata in particolare tra gli scaffali disertati di geografia, la donna vive una vita solitaria e ripetitiva che l'attira e la respinge insieme.
La prima parte del monologo ha un ritmo piuttosto vivace e la lettura scorre piacevolmente regalando anche qualche sorriso; nella seconda parte il tono si fa invece cupo, emergono tutte le nevrosi della donna e il libriccino perde la sua freschezza e la sua attrattiva.
I libri si rivelano, per la matura bibliotecaria, soltanto un ripiego: il microcosmo ordinato e silenzioso della biblioteca è rimasto
l'unico antidoto possibile contro il disordine e il dolore della vita reale; una vita vera, fatta di luce e di sentimenti, che la donna rimpiange ma non è stata capace di vivere. Frustrata nelle
sue aspirazioni professionali, ferita nei sentimenti, la bibliotecaria si è rifugiata nei libri. Ma non è amore, è ossessione.
Nonostante alcune recensioni positive o addirittura entusiastiche che si leggono in rete, sono rimasta delusa dal libro.
Forse la giovane scrittrice avrebbe voluto dire qualcosa di diverso, ma ha perso il controllo della sua scrittura. È perfino banale che il libro non possa, e non debba!, sostituire la vita reale. Ma non credo che fosse questa, nelle intenzioni dell'autrice, la "morale della favola".
Sulle labbra della bibliotecaria depressa, rancorosa e anche un po' presuntuosa perdono purtroppo credibilità alcuni messaggi invece assolutamente condivisibili: il rifiuto della cultura elitaria come della (sub)cultura contemporanea vuota e commerciale. Lo stesso vale anche per le parole tenere e appassionate che la bibliotecaria dedica ai libri (in una delle ultime scene, d'altra parte, la donna manda volutamente all'aria una pila di volumi).
Che senso ha avuto mostrarci il declino di una donna infelice e indurita, in mezzo agli scaffali di una biblioteca che dice di amare ma che evidentemente detesta?
«Il fatto è che la gente è sola, terribilmente sola. Leggere è un pretesto. Una
messinscena».