La bellezza straziata: "Poetry" di Lee Chang-dong
L'ultimo film del regista coreano Lee Chang-dong (Daegu, 1954) risale all'anno scorso, ma è arrivato nelle sale italiane ad aprile di quest'anno: si tratta di Poetry (시), una pellicola malinconica e terribile.
Mija ha 66 anni e scopre di soffrire di un principio di Alzheimer. Non lo rivela a nessuno e continua a vivere dividendosi tra la cura di un nipote adolescente, un lavoro come badante e un corso di poesia. Tenera e svampita, Mija vorrebbe riuscire a scrivere almeno una poesia, trovando dentro di sé l'ispirazione e la bellezza; intanto scopre che il nipote è coinvolto in uno stupro di gruppo nei confronti di una coetanea che infine si è tolta la vita. Il tormento di questa vicenda non l'abbandonerà più, fino alla fine.
Il film dura più di due ore ed ha un ritmo molto lento; tuttavia si lascia guardare senza annoiare mai. È lo spettatore, anzi, ad adattarsi al tempo dell'azione e a seguire addolorato, commosso, indignato, a tratti anche divertito, il corso degli eventi.
Lee Chan-dong parla di bellezza, di onestà, di dignità, di violenza, di solitudine, di meschinità; parla della giovinezza trascorsa, di quella infranta e di quella perduta... Parla della vita, insomma, attraverso una vicenda, ispirata ad un fatto di cronaca, che turba la vita sonnolenta di una cittadina della provincia coreana.
Poetry è un film denso di colori, di profumi, di sapori... della poesia semplice e bella che la protagonista tenta disperatamente di coltivare e di salvare: la poesia delle calendule rosse e delle susine mature, del sole che filtra attraverso le tende o tra i rami, del cielo azzurro e dell'acqua che scorre.
Salvare quella bellezza, secondo il regista, non è possibile. Eppure quella bellezza potrebbe salvare
noi.