La fine della fiducia rivoluzionaria: "La giornata d’uno scrutatore" di Italo Calvino

Pubblicato il da vocelibera2011

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Nel 1963 Italo Calvino (Santiago de Las Vegas 1923 – Siena 1985) pubblicava un breve racconto-riflessione composto nell’arco di dieci anni, La giornata d’uno scrutatore. Mentre infatti coltivava il filone fantastico con la trilogia I nostri antenati, l’autore seguiva anche un altro percorso di scrittura di carattere realistico. Non è in queste opere che l’autore dà la migliore prova di sé, perché restano narrazioni piuttosto fredde e piegate alla “morale della favola”; tuttavia sono testimonianze interessanti intorno ad un’epoca che forse è più vicina e simile alla nostra di quanto si creda.


Amerigo Ormea è un giovane comunista che in una domenica piovosa del 1953 svolge l’incarico di scrutatore in un seggio all’interno del Cottolengo, l'istituto religioso che ospita uomini e donne affetti da gravi malattie e handicap. Il suo compito è quello di evitare manipolazioni di voti ad opera dei religiosi dell’istituto a vantaggio della Democrazia Cristiana. A contatto con un universo di derelitti fino a quel momento sconosciuto, il protagonista, già pieno di dubbi e di incertezze, si trova a riconsiderare sotto una luce nuova la propria stessa vita e le proprie scelte.
 
La trama, piuttosto esile, si rivela in realtà il pretesto per una riflessione dell’autore Calvino intorno a temi politici e personali. Lo dimostrano le lunghe sequenze riflessive (tra cui, più estesa delle altre, pesante e decisamente oscura, quella che occupa la seconda metà del secondo capitolo). D’altra parte l’autore stesso ha spiegato di essersi ispirato, per la composizione del racconto, a eventi autobiografici.
Amerigo è dunque l’alter ego dell’autore, che in quegli anni si poneva evidentemente le stesse domande del suo protagonista e consumava il suo allontanamento, dopo i fatti d’Ungheria definitivo, dal Partito Comunista Italiano.
Fin dall’inizio del racconto Amerigo appare un uomo solo in apparenza sicuro delle proprie idee: in realtà egli oscilla continuamente tra ottimismo e pessimismo, fiducia e disincanto, impegno e apatia. Lui stesso osserva che in Italia già langue, se non è ormai spenta, la fiamma degli ideali dell’immediato dopoguerra, inghiottiti da una burocrazia grigia e opprimente. Anche il rapporto del protagonista con la letteratura è ambiguo: Amerigo la rifiuta, ma continua a cercarla anche nei testi saggistici e filosofici che riempiono la sua, invero non molto ricca, biblioteca domestica. Ma soprattutto lo scetticismo investe, fin dall’inizio, il comunismo, al quale Amerigo ha aderito sebbene lui stesso senta che la sua anima è più autenticamente liberale.
Più volte i pensieri di Amerigo si allontanano dalla realtà concreta per rifugiarsi nelle fantasie. E non di rado il protagonista tenta di ingannare se stesso, cercando di convincersi di provare interessi e sentimenti che in realtà non lo coinvolgono davvero. Amerigo è un uomo pigro, che ostenta impegno ed equilibrio, mentre la sua natura resta diversa, ondeggiando tra facili entusiasmi che rapidamente si spengono e dubbi che lo attanagliano: lui stesso è consapevole, nei momenti di lucidità, di non credere agli ideali che professa e sostiene.
La fede e la serenità delle suore che hanno invece sinceramente e completamente abbracciato la propria missione (Amerigo è convinto di riuscire a distinguerle dalle altre, ipocrite e opportuniste) lo commuove e lo affascina e gli fa sentire una volta di più la propria debolezza.
Col procedere degli eventi la crisi di Amerigo diventa sempre più profonda e viene acuita non solo dall’esperienza all’interno del Cottolengo, ma anche da una vicenda privata: la possibilità che la sua ragazza, per la quale egli prova un sentimento indefinibile che è anzitutto paura di un legame serio, aspetti un bambino da lui. È una prospettiva da cui Amerigo è terrorizzato: egli si trincera dietro considerazioni filosofiche e scientifiche intorno alla scarsità delle risorse del pianeta, ma in realtà è angosciato dalle responsabilità e dai legami che la nascita di un figlio comporterebbe.

In questo modo un nuovo tema, quello della responsabilità della procreazione, viene a intrecciarsi a quello politico, come ancora una volta ha spiegato l’autore in persona. In verità, i due temi trovano la loro connessione già nella realtà stessa del Cottolengo, dove sono ricoverati, a volte da tutta una vita, individui deformi e deficienti che appaiono ai suoi occhi aborti di natura. Amerigo giunge a domandarsi anche, interrogativo di estrema attualità, fino a che punto sia giusto aiutare a vivere quegli individui e se non sia più giusto piuttosto aiutarli a morire.
Di certo, alla conclusione della breve storia, il razionalismo illuministico appare sconfitto e la rivoluzione comunista irrimediabilmente lontana, mentre l’umanità viene ad identificarsi, nelle riflessioni del protagonista, nell’amore. Il Cottolengo finisce infatti per configurarsi agli occhi di Amerigo come il luogo che «dell’inutilità del fare, era la prova e insieme la smentita», come il luogo in cui l’homo faber dà la migliore prova di sé, forse l’unica vera prova. Questa nuova consapevolezza permette al protagonista di imporsi per evitare ulteriori manipolazioni di voti, ma non, così almeno sembra, di riprendere in mano saldamente la propria vita.
 
Amerigo è un personaggio profondamente realistico nelle sue incertezze e fragilità e non si fa fatica ad immedesimarsi nei suoi dubbi e nelle sue oscillazioni. Accade di ostentare una sicurezza che non si possiede, di promuovere un’idea nella quale si ha bisogno di credere ma che in fondo non convince; accade anche di rinunciare, per scarsa convinzione, per indolenza, per quieto vivere, a far valere le proprie ragioni nelle circostanze che lo richiederebbero.
Alcuni dei dubbi di Amerigo si insinuano nel lettore come un tormento sottile, come quando il protagonista riflette sul fatto che proprio nel momento in cui la battaglia illuministica e democratica per l’uguaglianza sembra vinta grazie al suffragio universale, la manipolazione a cui sono sottoposti i voti dei malati incapaci mette in dubbio che quella sia stata una lotta giusta: perché non tutti dovrebbero avere il diritto di votare, poiché non tutti posseggono la consapevolezza personale, storica e politica per farlo.
Il personaggio rappresenta alla perfezione un’epoca, per meglio dire una reazione ad una temperie storica e culturale. Tuttavia il suo atteggiamento ha il sapore della resa: sembra infatti che su tutti prevalga il sentimento dell’impotenza dell’uomo di fronte alla natura e di fronte alle proprie stesse aberrazioni (l’opera nasce negli anni della guerra fredda e non mancano riferimenti espliciti al timore di una guerra atomica). L’unica via di “salvezza” appare infine, agli occhi di Amerigo, l’amore.
 
Tuttavia scegliere l’amore, che di per sé è scelta nobilissima, non dovrebbe significare la rinuncia ad una rivoluzione più profonda, più radicale, delle coscienze e della società.
Bisognerebbe scrollarsi di dosso l’apatia e la pigrizia, ancora oggi che il sentimento di sfiducia dilaga più di allora, e reagire al nichilismo (e agli alibi che abilmente costruiamo per noi stessi) impegnandoci nella edificazione di un avvenire migliore, in cui si abbia cura dei più sfortunati senza sfruttarli e in cui ci si sforzi di promuovere l’uomo, attraverso la cultura e il dialogo, a una dimensione sempre più ampia e più autentica.
Un obiettivo che non si dovrebbe considerare mai pura utopia.
 
 
«Non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant’era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere»

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