"I fiori di Kirkuk" di Fariborz Kamkari

Pubblicato il da vocelibera2011

Fra le tragedie troppo spesso dimenticate del nostro tempo c’è sicuramente quella del popolo curdo. Nazione senza Stato, i Curdi costituiscono un gruppo di etnia indoeuropea che vive diviso tra diversi Stati (Iraq, Iran, Turchia, Siria…) senza essere mai riuscito a vedersi riconosciuta l’indipendenza o almeno l’autonomia dei propri territori (il cosiddetto Kurdistan). Spesso perseguitati, per lo più ignorati dall’opinione pubblica internazionale, i Curdi hanno subito una delle repressioni più estese e atroci alla fine degli anni ’80 del Novecento, durante il conflitto tra Iran e Iraq, da parte del dittatore iracheno Saddam Hussein. A questa vicenda terribile di deportazioni, torture, esecuzioni sommarie, stragi attraverso armi chimiche, è dedicato un film delicato e intenso al tempo stesso che porta il titolo I fiori di Kirkuk (Golakani Kirkuk, 2010), del regista iraniano di origini curde Fariborz Kamkari (?, 1981). La pellicola è la trasposizione dell’omonimo romanzo scritto dallo stesso Kamkari.

 

Il film si apre sulla grande manifestazione di popolo che festeggia la fine della dittatura di Saddam nel 2003. Con la fine della tirannide Sherko, che in gioventù è stato un partigiano curdo e ha combattuto il regime, può rientrare in patria acclamato e celebrato. Tuttavia il suo primo pensiero è per un campo ricoperto di fiori colorati che lo riporta con il pensiero e con i ricordi a quindici anni prima. Allora era innamorato di Najla, una giovane araba conosciuta in Italia durante gli studi universitari di medicina. Nonostante Sherko avesse cercato di tenere l’amata lontana dal conflitto, la ragazza, determinata ad abbracciare la causa delle vittime, aveva deciso di partecipare alla resistenza curda nel nome della giustizia, della dignità e dell’onore: in questo modo ha salvato molte vite e fatto giungere in Occidente le prove dei massacri dei Curdi.

 

Najla è bella, colta, inizialmente ingenua ma poi sempre più consapevole, determinata, appassionata: è lei la vera protagonista della storia, rispetto alla quale il rivoluzionario Sherko resta certamente un personagio di spessore inferiore. C’è poi un terzo comprimario: si tratta di Mokhtar, un soldato dell’esercito di Saddam che a sua volta si innamora di Najla: sebbene figlio di una cultura violenta e tendenzialmente misogina, Mokhtar non è privo di sensibilità e coscienza e saprà riscattarsi. La conclusione della vicenda, per essere credibile, non potrà però essere felice.

 

Il grande pubblico viene certamente conquistato dalla tormentata storia d’amore e di morte dei tre protagonisti e così il film ha modo di divulgare una più importante storia, vera e tragica, quella delle persecuzioni contro i Curdi. E non si parla di una vicenda del passato, seppure recente: l’abbattimento della dittatura di Saddam, avvenuta grazie all’intervento militare di Inglesi e Statunitensi, non ha significato per l’Iraq pacificazione e democratizzazione. A tutt’oggi il Paese è estremamente instabile per il conflitto che divide fondamentalisti islamici e moderati e la questione curda resta anch’essa lontana da una vera soluzione.

 

Il film, realizzato da un regista iraniano che vive e lavora in Italia poiché nel suo Paese d’origine non potrebbe svolgere liberamente il proprio lavoro, vuole essere una denuncia e anche, nonostante tutto, un grido di speranza. Ma la strada da percorrere affinché il Medio-Oriente conosca democrazia e libertà è ancora molto lunga. Perché la democrazia non può essere importata in quei territori dagli Occidentali, tanto meno imposta con la forza delle armi e per giunta da chi, come Inglesi e Statunitensi, in precedenza ha sostenuto e armato la dittatura per ragioni di convenienza politica ed economica. La democrazia può essere solo la conquista di popoli che diventano maturi e consapevoli grazie anche all’impegno e alla guida dei loro intellettuali, come il regista Kamkari.

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