La fantascienza del passato remoto: "Le Cosmicomiche" di Italo Calvino

Pubblicato il da vocelibera2011

La fantasia di Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, 1923 - Siena, 1985) si è sbizzarrita anche sul passato remotissimo dell'universo, con Le cosmicomiche. La prima edizione, contenente dodici racconti, venne pubblicata nel 1965; ne sarebbero seguite altre, ampliate con l’inserzione di nuove narrazioni.

http://www.mariostoccuto.it/La%20lontanaza%20della%20luna.....JPGL’autore si diverte a lasciare la parola ad un narratore interno proteiforme, il misterioso Qfwfq: egli esiste dalla notte dei tempi e rievoca i momenti salienti della nascita dell’universo, della Terra e delle specie viventi attraverso i suoi ricordi personali.
Come ha evidenziato lo stesso Calvino in un’intervista uscita in occasione della prima edizione delle Cosmicomiche, i suoi racconti si discostano dal genere fantascientifico tradizionale proprio perché sono ambientati nel passato più remoto del cosmo e non in un ipotetico futuro.
L’ispirazione viene comunque dalla scienza: partendo dalle ipotesi o dai dati dell’astronomia, puntualmente citati ad introdurre ogni racconto, Calvino lascia poi sciolte le briglie della sua fervida fantasia realizzando, in alcuni casi, dei piccoli gioielli di narrativa, senza mai tralasciare un aggancio con i problemi della società contemporanea.

Si può citare ad esempio il racconto poetico e suggestivo Senza colori, in cui Qfwfq ricorda la formazione dell’atmosfera intorno alla Terra e conseguentemente la nascita dei colori. A quel tempo lui era perdutamente innamorato di Ayl e proprio la nascita dei colori lo divise per sempre da lei: Ayl infatti non sopportò il cambiamento e preferì restare sepolta dietro una frana, nel grigiore che la faceva sentire protetta.
Una sorte non molto diversa da quella di G’d(W)n, la sorella di Qfwfq di cui si parla in Sul far del giorno: rimasta imprigionata nelle viscere della Terra, forse di sua volontà, quando la crosta terrestre si era solidificata.
Ironico e divertente è poi il racconto Lo zio acquatico, in cui si descrive l’evoluzione degli esseri viventi da acquatici in terrestri attraverso la storia di una giovane terricola che sceglie però di seguire il percorso inverso, tornando all’acqua.
Se i primi due personaggi femminili sembrano rappresentare la paura i fronte al nuovo e all’ignoto, il terzo sceglie il ritorno al passato in uno scatto entusiastico di vitalità, come piena realizzazione di sé. In ogni caso, però, il loro sguardo è rivolto all’indietro.
Il tema ritorna anche, declinato in maniera diversa, nel racconto I dinosauri, che racconta le peripezie dell’ultimo dinosauro (che altri non è che Qfwfq, che ha attraversato tutti gli stadi dell’evoluzione): unico sopravvissuto all’estinzione della sua specie, si mescola ai nuovi abitanti del pianeta senza essere riconosciuto, portando con sé la coscienza della sua diversità ma in fondo pronto a nuovi cambiamenti.
Meritano infine una menzione Tutto in un punto e Gli anni-luce, in cui il Big-Bang e la velocità di fuga delle galassie diventano il pretesto per parlare di apparenze e di pregiudizi.
Altri racconti, meno felici sul piano narrativo, illustrano la mancanza di certezze di cui soffre l’uomo moderno.

La scrittura calviniana si distingue come sempre per la sua limpidezza e nei racconti migliori si ammira l’estro dello scrittore capace di trasformare in immagini surreali, poetiche, fantastiche la realtà prosaica della scienza e i dilemmi della società umana.
Si insinua però sempre anche l’impressione, e non è una sensazione piacevole, che qualcosa continui a sfuggire, che il messaggio che l’autore ha inteso trasmettere rimanga fumoso.

 

 

«Ritornò il buio. Credevamo ormai che tutto ciò che poteva accadere fosse accaduto, e – Ora sì che è la fine, - disse la nonna, - date retta ai vecchi –. Invece la Terra aveva appena dato uno dei suoi soliti giri. Era la notte. Tutto stava solo cominciando»

Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti:
Commenta il post
F
Lontano (2011)<br /> <br /> Lontani sono i mondi che noi attraverseremo senza saper <br /> bene dove l’inizio della nostra fine. Lontani, i mondi lassù, <br /> ma non scorderemo il fine. Noi, figli di Yaf-het, di colui <br /> che “prese dimora” a occidente, ora abitiamo sotto tende <br /> di Sem, sotto le ali della Sua chiesa. Se solo sapessimo <br /> del nostro passato per saper dove si volge il nostro passo! <br /> Che potremmo mai ricordarcene non senza confusione? <br /> Prosciugatesi antiche paludi, dal Mar Caspio giungemmo <br /> al Mar Nero di terre incognite, sospese come nel sogno: <br /> Hattilantis ne fu il nome, un’Atlantide di ceneri e lapilli <br /> che ebbe a che fare con l’isola di Creta e dove fu fondata <br /> la nostra Ilio. Ma i greci, antichi nemici di anatolici, <br /> non conobbero veramente i minoici: di essi sì, ne narrano <br /> alcuni miti, ma Minosse non era il diavolo. Esisteva, <br /> agli inizi, lo strano culto del serpente e lì dove l’aratro <br /> seminava primi indizi di civiltà direttamente nel solco <br /> della storia. Nei pressi di Eridu, antica città di Shumer, <br /> il Paese del Mare, si modellarono statuette ofidie, sotterra <br /> furono rinvenuti gli ossi di esseri giganteschi, i dinosauri, <br /> e l’Eden si collocava nel giardino di Guedinna, tra Umma <br /> e Lagash; ma l’essere a noi più ostile un Neanderthal <br /> come Lilith, allor quando Iddio rivestì l’uomo di pelli <br /> e il lanoso pachiderma tuonava. Accadde poi il Diluvio, <br /> e l’acque tumultuose dell’Eufrate inondarono il meridione <br /> e tutte le terre feconde che videro poi la gloria di un re:<br /> Ghilgamesh. Tra tutti i grandi che eressero megaliti <br /> orientandoli secondo le cose di Padre Cielo e che presero <br /> in moglie le figlie di una Madre Terra, anche l’Egitto, <br /> fondato da Narmer, emerse dall’acque come un obelisco, <br /> ai raggi del sole, ma più non vi regnava l’asiatico <br /> che abbozzò le piramidi e quella sfinge poi raffigurata <br /> nella Tavolozza del protofaraone, come immersa <br /> in petrose sabbie lungo le belle rive di papiro. E quelle <br /> genti che fecero il lavoro duro di erigerne i monumenti <br /> son coloro che il biblista chiama i Figli di Misraim. <br /> Ma Misraim non è Mis-Rê, l’Egitto dinastico non è <br /> il pre-dinastico Popolo del papiro! Oltre al geroglifico, <br /> lingua conosciuta di allora fu una sola, scritta da nazioni: <br /> il cuneiforme. E le sue parole, incise nella cruda argilla, <br /> si adattavano a ogni vulgata, come ci testimonia Ebla. <br /> Persino Mosè la conobbe, altrimenti come lo avrebbe <br /> inteso uno di Madian quando fuggì da corte? L’accàdico, <br /> ossia l’assiro-babilonese, era la lingua internazionale <br /> di cui acuti faraoni come Ekh-en-Aton si servirono <br /> in diplomazia e sempre in questa Nefertari, una moglie <br /> di Ramses, aveva ottimi rapporti con la consorte del re <br /> ittita, anni dopo quella di Qadesh. Qui perdere il filo <br /> del discorso è molto facile, visto che il Genesi biblico, <br /> tra tanti fatti mitologici, ci parla soltanto di una sola <br /> lingua conosciuta ai tempi delle prime ziqqurat sì alte <br /> come quella di Saqqara, ma nel labirinto di specchi <br /> che è la parola, il nome Arianna significava Colei <br /> che fu bella, poiché Ari significava avvenente e Ann <br /> era suffisso del passato remoto del verbo essere. A noi, <br /> pronipoti di un Noè di nome Deucalione, oggi dispersi <br /> in ogni dove sulla faccia delle terre emerse, dette impulso <br /> anche stirpe d’intrepidi Arii, che conquisero Hariyupeya, <br /> una Harappā dei Rig-Veda. Tutto giusto fin qui? Il canto <br /> mio è desolato, or più non siamo gli stessi di uno ieri, <br /> e dove ritroveremo le nostre radici per guardare anche <br /> alle verdi foglioline? Tutto è caduco, eracliteo “panta rei” <br /> colma ogni buco. Smemoreremo? Si è fatta oscurità, ora, <br /> sulla Terra, a causa di molte calamità l’Oriente soffre. <br /> Chi, senza peccato d’orgoglio, ci guiderà su vie d’eternità, <br /> a chi attingeremo vere perle di saggezza? Da coloro <br /> che ballano la samba sugli altari e ti adescano ragazzini? <br /> Vita, sinonimo di luce, ma molti preferiscono le tenebre <br /> alla vera lampada di un’umanità interiore, si prendono <br /> gioco del loro prossimo, perché adorano un vitello d’oro. <br /> Lontani sono i mondi che noi attraverseremo, lassù, <br /> senza saper bene dove l’inizio della nostra fine. Già <br /> ci si son spalancate le porte dell’universo, lo scrutiamo, <br /> e la polverosa luna è solo un sogno caro a romantici. <br /> Lontani, i mondi lassù, ma non scorderemo il fine <br /> che ci avrà spinto nell’oltre. E quel dì saremo come uno <br /> strenuo fior del deserto, e bello agli occhi del dio Logos.
Rispondi